Questa libro, pubblicato in occasione di una mostra tenutasi alla Fondazione Ragghianti di Lucca, ha due protagonisti: il francese François Morellet e l'italiano Mario Ballocco. Si tratta del primo tentativo, mai compiuto finora, di accostare i percorsi di due artisti che non si conobbero, ma che, soprattutto in alcune fasi delle rispettive carriere, imboccarono parallelamente strade analoghe e molto anticipatrici. I due furono, uno in Francia e l'altro in Italia, precursori, già all'inizio degli anni Cinquanta, di molti aspetti dell'Arte Cinetica e Programmata (e in certa misura anche della Optical Art), che sarebbe esplosa come tendenza generale nel decennio successivo. L'attenzione alle questioni percettive, alla visione e al movimento, al problema della forma e del colore, all'interdisciplinarietà e al rapporto con il design e l'industria sono elementi che ritroviamo precocemente sia in Ballocco, sia in Morellet. Persino alcuni fattori costituitivi del loro lessico artistico mostrano somiglianze insospettabili: basti confrontare le "trame" del francese con i "reticoli" dell'italiano. I parallelismi, insomma, sono numerosi e calzanti, a tratti sorprendenti, soprattutto fino ai primi anni Sessanta, quando Morellet, allora esponente del G.R.A.V. (il parigino Group de Recherche d'Art Visuel), comincerà a sperimentare l'utilizzo del neon e della multimedialità, mentre Ballocco – fermo restando il suo lavoro pittorico – approfondirà lo studio teorico dei problemi cromatologici, anche in ambito applicativo. Seguire i loro sviluppi a partire dalla metà degli anni Quaranta consente di misurare il progressivo approdo dei due artisti all'astrattismo. Il 1950-1951 è un momento di svolta per entrambi: Ballocco fonda il Gruppo Origine insieme con Alberto Burri, Giuseppe Capogrossi ed Ettore Colla, mentre Morellet "conquista" la geometria, iniziando a realizzare dipinti scanditi secondo precisi ritmi visivi. Nel 1952 si affaccia in ambedue gli artisti la questione della modularità: le grate e i reticoli di Ballocco si trasformano in griglie e sequenze di rettangoli; Morellet, da parte sua, costruisce le proprie opere su un lessico modulare costituito di volta in volta da linee orizzontali o verticali parallele, da griglie ortogonali, da quadrati o triangoli rettangoli, esagoni, motivi a scacchiera o a spina di pesce etc. Già nella seconda metà degli anni Cinquanta la loro produzione è ormai improntata a una ricerca intorno alla forma e al colore: al centro dell'attenzione è lo studio dei meccanismi della visione e dei fenomeni ottici. Il linguaggio impiegato da entrambi è astrattista, ma si pone al di là degli stili delle precedenti avanguardie: l'intento è di superare la nozione tradizionale di arte come espressione per puntare al coinvolgimento dello spettatore non sul piano emozionale, bensì percettivo e psicologico, eliminando ogni traccia di arbitrarietà. Dopo una fase di maggiore distanza (soprattutto fra il 1963 e il 1968), è interessante notare che, verso la fine degli anni Settanta, i percorsi di Ballocco e di Morellet si incontreranno di nuovo – sempre "a distanza" – nel privilegiare l'utilizzo del bianco e nero, e quindi un progressivo abbandono del colore. Il libro documenta, con apposite schede scientifiche (tutte scritte dall'autore), sessantasei opere, molte delle quali inedite in Italia (e anche inedite in senso assoluto), che documentano la carriera artistica di Mario Ballocco e di François Morellet dal 1945 agli anni Ottanta. Le cinque sezioni evidenziano il parallelo sviluppo delle loro ricerche, correndo su un duplice binario che si pone l'obiettivo di istituire confronti e di misurare somiglianze e differenze. Il libro contiene anche un importante scritto di poetica redatto da Morellet nel 1971 (qui tradotto per la prima volta in italiano, sempre da Paolo Bolpagni) e un testo - a mo' di postfazione - del filosofo Massimo Donà.

Sguardi paralleli: Ballocco / Morellet

BOLPAGNI, PAOLO
2016-01-01

Abstract

Questa libro, pubblicato in occasione di una mostra tenutasi alla Fondazione Ragghianti di Lucca, ha due protagonisti: il francese François Morellet e l'italiano Mario Ballocco. Si tratta del primo tentativo, mai compiuto finora, di accostare i percorsi di due artisti che non si conobbero, ma che, soprattutto in alcune fasi delle rispettive carriere, imboccarono parallelamente strade analoghe e molto anticipatrici. I due furono, uno in Francia e l'altro in Italia, precursori, già all'inizio degli anni Cinquanta, di molti aspetti dell'Arte Cinetica e Programmata (e in certa misura anche della Optical Art), che sarebbe esplosa come tendenza generale nel decennio successivo. L'attenzione alle questioni percettive, alla visione e al movimento, al problema della forma e del colore, all'interdisciplinarietà e al rapporto con il design e l'industria sono elementi che ritroviamo precocemente sia in Ballocco, sia in Morellet. Persino alcuni fattori costituitivi del loro lessico artistico mostrano somiglianze insospettabili: basti confrontare le "trame" del francese con i "reticoli" dell'italiano. I parallelismi, insomma, sono numerosi e calzanti, a tratti sorprendenti, soprattutto fino ai primi anni Sessanta, quando Morellet, allora esponente del G.R.A.V. (il parigino Group de Recherche d'Art Visuel), comincerà a sperimentare l'utilizzo del neon e della multimedialità, mentre Ballocco – fermo restando il suo lavoro pittorico – approfondirà lo studio teorico dei problemi cromatologici, anche in ambito applicativo. Seguire i loro sviluppi a partire dalla metà degli anni Quaranta consente di misurare il progressivo approdo dei due artisti all'astrattismo. Il 1950-1951 è un momento di svolta per entrambi: Ballocco fonda il Gruppo Origine insieme con Alberto Burri, Giuseppe Capogrossi ed Ettore Colla, mentre Morellet "conquista" la geometria, iniziando a realizzare dipinti scanditi secondo precisi ritmi visivi. Nel 1952 si affaccia in ambedue gli artisti la questione della modularità: le grate e i reticoli di Ballocco si trasformano in griglie e sequenze di rettangoli; Morellet, da parte sua, costruisce le proprie opere su un lessico modulare costituito di volta in volta da linee orizzontali o verticali parallele, da griglie ortogonali, da quadrati o triangoli rettangoli, esagoni, motivi a scacchiera o a spina di pesce etc. Già nella seconda metà degli anni Cinquanta la loro produzione è ormai improntata a una ricerca intorno alla forma e al colore: al centro dell'attenzione è lo studio dei meccanismi della visione e dei fenomeni ottici. Il linguaggio impiegato da entrambi è astrattista, ma si pone al di là degli stili delle precedenti avanguardie: l'intento è di superare la nozione tradizionale di arte come espressione per puntare al coinvolgimento dello spettatore non sul piano emozionale, bensì percettivo e psicologico, eliminando ogni traccia di arbitrarietà. Dopo una fase di maggiore distanza (soprattutto fra il 1963 e il 1968), è interessante notare che, verso la fine degli anni Settanta, i percorsi di Ballocco e di Morellet si incontreranno di nuovo – sempre "a distanza" – nel privilegiare l'utilizzo del bianco e nero, e quindi un progressivo abbandono del colore. Il libro documenta, con apposite schede scientifiche (tutte scritte dall'autore), sessantasei opere, molte delle quali inedite in Italia (e anche inedite in senso assoluto), che documentano la carriera artistica di Mario Ballocco e di François Morellet dal 1945 agli anni Ottanta. Le cinque sezioni evidenziano il parallelo sviluppo delle loro ricerche, correndo su un duplice binario che si pone l'obiettivo di istituire confronti e di misurare somiglianze e differenze. Il libro contiene anche un importante scritto di poetica redatto da Morellet nel 1971 (qui tradotto per la prima volta in italiano, sempre da Paolo Bolpagni) e un testo - a mo' di postfazione - del filosofo Massimo Donà.
2016
978-88-89324-40-0
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