Promulgata nel 1981, la lettera enciclica Laborem exercens di Giovanni Paolo II presenta indubbi elementi di attualità, oltre a significativi impliciti pedagogici – condensati soprattutto nei primi paragrafi del testo - in ordine alla dimensione del lavoro. Papa Wojtyła, infatti, non solo faceva del lavoro il punto nevralgico per un’adeguata lettura e comprensione della questione sociale (tema, questo, del quale anche oggi constatiamo l’urgenza dirompente), ma anche e soprattutto lo esaminava dal “lato umano”. In altre parole, senza negarne la dimensione squisitamente oggettiva (connessa a doppio filo alla questione della tecnica), egli ne esaminava approfonditamente il risvolto soggettivo: «Non c'è, infatti, alcun dubbio che il lavoro umano abbia un suo valore etico, il quale senza mezzi termini e direttamente rimane legato al fatto che colui che lo compie è una persona, un soggetto consapevole e libero, cioè un soggetto che decide di se stesso. […] il primo fondamento del valore del lavoro è l'uomo stesso, il suo soggetto. A ciò si collega subito una conclusione molto importante di natura etica: per quanto sia una verità che l'uomo è destinato ed è chiamato al lavoro, però prima di tutto il lavoro è “per l'uomo”, e non l'uomo “per il lavoro”. […] in ultima analisi, lo scopo del lavoro, di qualunque lavoro eseguito dall'uomo - fosse pure il lavoro più «di servizio», più monotono, nella scala del comune modo di valutazione, addirittura più emarginante - rimane sempre l'uomo stesso» (Laborem exercens, 6). Proprio perché prima del lavoro c’è la persona, inoltre, esso è dotato di una peculiare «forza sociale: la forza di costruire una comunità» (Laborem exercens, 20). Giovanni Paolo II affronta questo aspetto pensando soprattutto all’impatto socioeconomico e politico del lavoro; pure, tra le righe emerge una struttura comunitaria e relazionale del lavoro (ma anche dell’azione umana in generale) in quanto tale. Tale chiave di lettura si fonda sulla densa riflessione antropologica elaborata da Wojtyła negli anni del suo insegnamento universitario, tutta incentrata sul nesso strutturale tra la dimensione personale e quella dell’atto (Wojtyła, 1969); e consente di apprezzare pienamente la portata formativa ed umanizzante del lavoro, che ha sempre a che fare con ciò che la persona diviene/è, con la sua identità; e che vede convergere in unità la complessa costellazione di dimensioni (cognitiva, esperienziale, emotivo-affettiva, motivazionale, pratica…) nelle quali la persona stessa si trova costituita. In definitiva, la lettura wojtyliana del lavoro come luogo di costruzione della persona e della comunità restituisce al tema uno spessore squisitamente pedagogico; e consente di approfondirlo in una feconda interazione con le costanti tipiche del processo educativo (Moscato, 1994) e con la forma/modello strutturale dell’apprendistato quale fondamento di una compiuta pedagogia del lavoro (Moscato, 2016).

Il lavoro come luogo di costruzione dell’identità personale: piste di riflessione pedagogica dalla Laborem exercens di Giovanni Paolo II

Giorgia Pinelli
2023-01-01

Abstract

Promulgata nel 1981, la lettera enciclica Laborem exercens di Giovanni Paolo II presenta indubbi elementi di attualità, oltre a significativi impliciti pedagogici – condensati soprattutto nei primi paragrafi del testo - in ordine alla dimensione del lavoro. Papa Wojtyła, infatti, non solo faceva del lavoro il punto nevralgico per un’adeguata lettura e comprensione della questione sociale (tema, questo, del quale anche oggi constatiamo l’urgenza dirompente), ma anche e soprattutto lo esaminava dal “lato umano”. In altre parole, senza negarne la dimensione squisitamente oggettiva (connessa a doppio filo alla questione della tecnica), egli ne esaminava approfonditamente il risvolto soggettivo: «Non c'è, infatti, alcun dubbio che il lavoro umano abbia un suo valore etico, il quale senza mezzi termini e direttamente rimane legato al fatto che colui che lo compie è una persona, un soggetto consapevole e libero, cioè un soggetto che decide di se stesso. […] il primo fondamento del valore del lavoro è l'uomo stesso, il suo soggetto. A ciò si collega subito una conclusione molto importante di natura etica: per quanto sia una verità che l'uomo è destinato ed è chiamato al lavoro, però prima di tutto il lavoro è “per l'uomo”, e non l'uomo “per il lavoro”. […] in ultima analisi, lo scopo del lavoro, di qualunque lavoro eseguito dall'uomo - fosse pure il lavoro più «di servizio», più monotono, nella scala del comune modo di valutazione, addirittura più emarginante - rimane sempre l'uomo stesso» (Laborem exercens, 6). Proprio perché prima del lavoro c’è la persona, inoltre, esso è dotato di una peculiare «forza sociale: la forza di costruire una comunità» (Laborem exercens, 20). Giovanni Paolo II affronta questo aspetto pensando soprattutto all’impatto socioeconomico e politico del lavoro; pure, tra le righe emerge una struttura comunitaria e relazionale del lavoro (ma anche dell’azione umana in generale) in quanto tale. Tale chiave di lettura si fonda sulla densa riflessione antropologica elaborata da Wojtyła negli anni del suo insegnamento universitario, tutta incentrata sul nesso strutturale tra la dimensione personale e quella dell’atto (Wojtyła, 1969); e consente di apprezzare pienamente la portata formativa ed umanizzante del lavoro, che ha sempre a che fare con ciò che la persona diviene/è, con la sua identità; e che vede convergere in unità la complessa costellazione di dimensioni (cognitiva, esperienziale, emotivo-affettiva, motivazionale, pratica…) nelle quali la persona stessa si trova costituita. In definitiva, la lettura wojtyliana del lavoro come luogo di costruzione della persona e della comunità restituisce al tema uno spessore squisitamente pedagogico; e consente di approfondirlo in una feconda interazione con le costanti tipiche del processo educativo (Moscato, 1994) e con la forma/modello strutturale dell’apprendistato quale fondamento di una compiuta pedagogia del lavoro (Moscato, 2016).
2023
9791255680598
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