Francesco Petrarca, come nessun umanista dopo di lui, ha messo molto di sé stesso nella sua biblioteca, aggiungendo nei libri e nelle carte che la formavano anche annotazioni relative alle sue opere, affinché i lettori futuri potessero seguire l’evoluzione del suo io attraverso quello che, in un’accezione ampia, potremmo considerare il suo ‘archivio’. Questa fiducia circa la possibilità che il proprio archivio possa tramandare alla posterità un’immagine di sé emerge solo raramente negli umanisti delle generazioni immediatamente successive a Petrarca. È piuttosto la necessità di ordinare una crescente mole di conoscenze sulle letterature antiche che spinse gli umanisti a organizzare e schedare le proprie letture, sia per esigenze pratiche ed economiche, sia per pianificare i propri scritti, spesso di carattere lessicografico ed enciclopedico, volti a sistematizzare ampie aree del sapere. Le raccolte di questi materiali (miscellanee, zibaldoni, ‘archivi’ in senso moderno), fortunosamente arrivate fino a noi, ci consentono di avanzare alcune ipotesi sulle modalità di lavoro e di studio degli umanisti. Il contributo esamina alcuni casi famosi (Giovanni Tortelli, Bartolomeo Fonzio, Poliziano, Beroaldo), reperendo le tracce della fisionomia degli archivi di questi scrittori, e interrogandosi sui diversi gradi di consapevolezza con cui gli autori hanno considerato la funzione delle proprie carte.
Volontà e necessità d’archivio: casi esemplari dalle biblioteche degli umanisti
Clementina Marsico;
2023-01-01
Abstract
Francesco Petrarca, come nessun umanista dopo di lui, ha messo molto di sé stesso nella sua biblioteca, aggiungendo nei libri e nelle carte che la formavano anche annotazioni relative alle sue opere, affinché i lettori futuri potessero seguire l’evoluzione del suo io attraverso quello che, in un’accezione ampia, potremmo considerare il suo ‘archivio’. Questa fiducia circa la possibilità che il proprio archivio possa tramandare alla posterità un’immagine di sé emerge solo raramente negli umanisti delle generazioni immediatamente successive a Petrarca. È piuttosto la necessità di ordinare una crescente mole di conoscenze sulle letterature antiche che spinse gli umanisti a organizzare e schedare le proprie letture, sia per esigenze pratiche ed economiche, sia per pianificare i propri scritti, spesso di carattere lessicografico ed enciclopedico, volti a sistematizzare ampie aree del sapere. Le raccolte di questi materiali (miscellanee, zibaldoni, ‘archivi’ in senso moderno), fortunosamente arrivate fino a noi, ci consentono di avanzare alcune ipotesi sulle modalità di lavoro e di studio degli umanisti. Il contributo esamina alcuni casi famosi (Giovanni Tortelli, Bartolomeo Fonzio, Poliziano, Beroaldo), reperendo le tracce della fisionomia degli archivi di questi scrittori, e interrogandosi sui diversi gradi di consapevolezza con cui gli autori hanno considerato la funzione delle proprie carte.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.