Nel presente saggio, l’A. affronta il problema interpretativo sollevato dalla locuzione, dal significato assai incerto, «diritti di voto o di partecipazione» nell’art. 2437, lett. g), c.c. La risoluzione di tale problema, che è lungi dall’essere meramente nominalistico, reca con sé corollari applicativi non di poco conto: si tratta di capire a fronte della modifica di quali diritti di voto o di partecipazione, attuata con delibera assembleare, al socio è accordato il diritto di recesso. Delimitare l’area dell’espressione «diritti di partecipazione» significa individuare le condizioni di applicazione della disciplina del recesso. L’A. ricostruisce il quadro delle opinioni dottrinali sul punto: i «diritti di partecipazione» sono identificati, secondo alcuni, nei (soli) diritti patrimoniali; secondo altri, nei (soli) diritti amministrativi. Si riscontra, infine, una terza opinione che attribuisce una valenza “omnicomprensiva” (diritti patrimoniali e diritti amministrativi) alla suddetta locuzione. L’A. rileva tuttavia che l’opzione per uno o l’altro orientamento appare, in difetto di ulteriori indici, arbitraria. Con un capovolgimento di metodo, sottolinea l’opportunità (non già di ricondurre i diritti di partecipazione a categorie concettuali predefinite o di chiedersi – con un atteggiamento per così dire induttivo o ontologico – se un determinato diritto sia un diritto di partecipazione ai fini dell’art. 2437 c.c., enumerando tutti i possibili diritti che possono farsi rientrare nella nozione «diritti di partecipazione», bensì) di muovere dalla funzione di protezione assolta da tale causa di recesso in considerazione delle altre cause di exit e degli altri meccanismi di protezione del socio. Vale a dire ricostruire la locuzione in modo congruo rispetto al contesto in cui è calata (ipotesi di uscita e relativa disciplina), e, ancor prima, collocare il recesso all’interno del sistema delle tecniche di tutela del socio. Il che tenendo conto anche delle esperienze di altri ordinamenti. In questa prospettiva, rilevato che, in ragione del significato attribuito alla locuzione «diritti di partecipazione», può crearsi un problema di interferenza fra le tecniche di tutela del socio del recesso e delle assemblee speciali di cui all’art. 2376 c.c., l’A. pone in evidenza, che, dall’analisi del tessuto normativo, emerge un principio: quello dell’alternatività degli strumenti di protezione del socio. Alla luce del principio di alternatività degli strumenti di protezione, rileva che le delibere modificative dei «diritti di voto o partecipazione», che integrano una causa di recesso, debbono essere individuate “per sottrazione” in ragione della diversa funzione assolta dal recesso e dalle assemblee speciali. L’A. traccia pertanto la differenza fra le modifiche, che rendono necessaria l’approvazione della delibera da parte dell’assemblea speciale, e le modifiche che assumono rilievo ai fini dell’exit: le prime concernono una sola frazione di capitale sociale, vale a dire la sola categoria di azionisti interessata dalle suddette modifiche, atte «a toccare in modo differenziato le situazioni degli azionisti appartenenti alle diverse categorie»; le seconde hanno carattere generale e indifferenziato, spiegando i propri effetti, senza distinzione alcuna, su tutte le partecipazioni sociali. Una modifica è omogenea e tocca in modo paritetico tutti gli azionisti se incide sui diritti costituenti il nucleo comune della partecipazione. L’A., al fine di individuare tale nucleo comune, distingue due ipotesi: il nucleo può essere comune, in concreto, perché tutte le azioni attribuiscono i medesimi diritti ai sensi dell’art. 2348, comma 1°, c.c., con la conseguenza che non vi sono categorie di azioni, e in astratto, perché l’esercizio di alcuni diritti (spettanti a ciascun socio e non elevabili a diritti diversi) può essere subordinato a taluni presupposti applicativi modificabili per via statutaria. Il nucleo è, nel primo caso, variabile e accidentale in quanto la natura comune è condizionata alla circostanza che l’autonomia statutaria non abbia creato categorie di azioni con diritti diversi, e, nel secondo, costante. L’A. fa dunque alcuni esempi normativi di «diritti di partecipazione» la cui modifica è rilevante per il riconoscimento del recesso e, in conclusione, con la soluzione proposta perviene al risultato di evitare sul piano sostanziale una duplicazione fra gli strumenti di tutela e, al contempo, un vuoto di rimedi.

I «diritti di voto e di partecipazione» fra recesso e assemblee speciali

ABU AWWAD, AMAL
2009-01-01

Abstract

Nel presente saggio, l’A. affronta il problema interpretativo sollevato dalla locuzione, dal significato assai incerto, «diritti di voto o di partecipazione» nell’art. 2437, lett. g), c.c. La risoluzione di tale problema, che è lungi dall’essere meramente nominalistico, reca con sé corollari applicativi non di poco conto: si tratta di capire a fronte della modifica di quali diritti di voto o di partecipazione, attuata con delibera assembleare, al socio è accordato il diritto di recesso. Delimitare l’area dell’espressione «diritti di partecipazione» significa individuare le condizioni di applicazione della disciplina del recesso. L’A. ricostruisce il quadro delle opinioni dottrinali sul punto: i «diritti di partecipazione» sono identificati, secondo alcuni, nei (soli) diritti patrimoniali; secondo altri, nei (soli) diritti amministrativi. Si riscontra, infine, una terza opinione che attribuisce una valenza “omnicomprensiva” (diritti patrimoniali e diritti amministrativi) alla suddetta locuzione. L’A. rileva tuttavia che l’opzione per uno o l’altro orientamento appare, in difetto di ulteriori indici, arbitraria. Con un capovolgimento di metodo, sottolinea l’opportunità (non già di ricondurre i diritti di partecipazione a categorie concettuali predefinite o di chiedersi – con un atteggiamento per così dire induttivo o ontologico – se un determinato diritto sia un diritto di partecipazione ai fini dell’art. 2437 c.c., enumerando tutti i possibili diritti che possono farsi rientrare nella nozione «diritti di partecipazione», bensì) di muovere dalla funzione di protezione assolta da tale causa di recesso in considerazione delle altre cause di exit e degli altri meccanismi di protezione del socio. Vale a dire ricostruire la locuzione in modo congruo rispetto al contesto in cui è calata (ipotesi di uscita e relativa disciplina), e, ancor prima, collocare il recesso all’interno del sistema delle tecniche di tutela del socio. Il che tenendo conto anche delle esperienze di altri ordinamenti. In questa prospettiva, rilevato che, in ragione del significato attribuito alla locuzione «diritti di partecipazione», può crearsi un problema di interferenza fra le tecniche di tutela del socio del recesso e delle assemblee speciali di cui all’art. 2376 c.c., l’A. pone in evidenza, che, dall’analisi del tessuto normativo, emerge un principio: quello dell’alternatività degli strumenti di protezione del socio. Alla luce del principio di alternatività degli strumenti di protezione, rileva che le delibere modificative dei «diritti di voto o partecipazione», che integrano una causa di recesso, debbono essere individuate “per sottrazione” in ragione della diversa funzione assolta dal recesso e dalle assemblee speciali. L’A. traccia pertanto la differenza fra le modifiche, che rendono necessaria l’approvazione della delibera da parte dell’assemblea speciale, e le modifiche che assumono rilievo ai fini dell’exit: le prime concernono una sola frazione di capitale sociale, vale a dire la sola categoria di azionisti interessata dalle suddette modifiche, atte «a toccare in modo differenziato le situazioni degli azionisti appartenenti alle diverse categorie»; le seconde hanno carattere generale e indifferenziato, spiegando i propri effetti, senza distinzione alcuna, su tutte le partecipazioni sociali. Una modifica è omogenea e tocca in modo paritetico tutti gli azionisti se incide sui diritti costituenti il nucleo comune della partecipazione. L’A., al fine di individuare tale nucleo comune, distingue due ipotesi: il nucleo può essere comune, in concreto, perché tutte le azioni attribuiscono i medesimi diritti ai sensi dell’art. 2348, comma 1°, c.c., con la conseguenza che non vi sono categorie di azioni, e in astratto, perché l’esercizio di alcuni diritti (spettanti a ciascun socio e non elevabili a diritti diversi) può essere subordinato a taluni presupposti applicativi modificabili per via statutaria. Il nucleo è, nel primo caso, variabile e accidentale in quanto la natura comune è condizionata alla circostanza che l’autonomia statutaria non abbia creato categorie di azioni con diritti diversi, e, nel secondo, costante. L’A. fa dunque alcuni esempi normativi di «diritti di partecipazione» la cui modifica è rilevante per il riconoscimento del recesso e, in conclusione, con la soluzione proposta perviene al risultato di evitare sul piano sostanziale una duplicazione fra gli strumenti di tutela e, al contempo, un vuoto di rimedi.
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