territori sono fortemente influenzati dalle esternalità negative dello sviluppo economico, quali possono essere l'inquinamento, i rifiuti, il sovrappopolamento, l'esclusione sociale, l'invecchiamento della popolazione e così via. Molti di questi problemi devono essere affrontati a livello di sistemi territoriali, perché la condivisione e la collaborazione in logica di sussidiarietà circolare (Zamagni 2012), cui si affianca il supporto “smart” (intelligente) e lungimirante consentito dalle nuove tecnologie, è spesso percepita come l'unica soluzione possibile a tali sfide (Dameri et al. 2014). La ricerca sulle “smart city”, un movimento eterogeneo e multidisciplinare, suggerisce sempre più di sfruttare le tecnologie con l'obiettivo del bene comune e della sua sostenibilità. Le “smart city”, però, richiedono “smart community” per costruire un "mondo più intelligente", in cui la prosperità economica sia accoppiata con una maggiore sostenibilità sociale ed ecologica, una migliore qualità della vita per tutti e una resilienza dei sistemi sociali critici quali le comunità locali o i distretti economici. L'innovazione tecnologica per questo non è sufficiente; sono necessari anche condivisione di pratiche, valori, ruoli e regole del gioco e sfide manageriali innovative da parte di enti pubblici, imprese, associazioni non-profit e cittadini (Ricciardi et al. 2011, 2014), che possano co-creare valore, a partire dalla co-progettazione strategica e condividendo risorse umane, materiali e procedure. Ci si chiede se e come tale co-progettazione e condivisione possa essere risolutiva in alcune problematiche, legate in particolare alla prevenzione dei rifiuti organici e all’esclusione sociale. Esploriamo il caso di un progetto di food sharing, coordinato nel Nord Est dell’Italia da un’organizzazione a movente ideale, che coinvolge in sussidiarietà circolare imprese for profit municipalizzate e private, amministrazioni locali e il cosiddetto terzo settore. Il metodo di ricerca scelto è il case-study (Yin 2013). R.e.b.u.s., un acronimo che significa Recupero delle eccedenze dei beni utilizzabili solidalmente, è un modello di condivisione di risorse, replicabile e trasferibile; i beni con intatto valore di utilizzo, ma ridotto o nullo valore commerciale, sono destinati ad associazioni non profit, mediante il meccanismo della donazione nel rispetto della normativa vigente. Posto che alcuni sprechi si ritengono fisiologici (ad esempio nelle mense scolastiche per malattia, epidemie, difficoltà di gestione nelle calamità naturali; presso i grossisti per imprevedibili flessioni della domanda ecc.), è necessario riuscire almeno a ridurne l’impatto, mantenendo i prodotti nel loro stato di bene ed evitando che diventino rifiuti, prevenendone la formazione a monte della raccolta (Bonomi 2012, Bonomi et al. 2014). Attraverso la rete di relazioni inter-organizzative, attivata tra pubblico, privato e non-profit, è possibile sviluppare nuove pratiche di economia condivisa e innovativa che favoriscano un maggior senso di comunità mediante la compartecipazione di tutti i soggetti di un territorio e una crescita sostenibile che miri ad un benessere diffuso.
Food and knowledge sharing in una rete di relazioni organizzativo tra pubblico, privato e non profit
Bonomi, Sabrina
2016-01-01
Abstract
territori sono fortemente influenzati dalle esternalità negative dello sviluppo economico, quali possono essere l'inquinamento, i rifiuti, il sovrappopolamento, l'esclusione sociale, l'invecchiamento della popolazione e così via. Molti di questi problemi devono essere affrontati a livello di sistemi territoriali, perché la condivisione e la collaborazione in logica di sussidiarietà circolare (Zamagni 2012), cui si affianca il supporto “smart” (intelligente) e lungimirante consentito dalle nuove tecnologie, è spesso percepita come l'unica soluzione possibile a tali sfide (Dameri et al. 2014). La ricerca sulle “smart city”, un movimento eterogeneo e multidisciplinare, suggerisce sempre più di sfruttare le tecnologie con l'obiettivo del bene comune e della sua sostenibilità. Le “smart city”, però, richiedono “smart community” per costruire un "mondo più intelligente", in cui la prosperità economica sia accoppiata con una maggiore sostenibilità sociale ed ecologica, una migliore qualità della vita per tutti e una resilienza dei sistemi sociali critici quali le comunità locali o i distretti economici. L'innovazione tecnologica per questo non è sufficiente; sono necessari anche condivisione di pratiche, valori, ruoli e regole del gioco e sfide manageriali innovative da parte di enti pubblici, imprese, associazioni non-profit e cittadini (Ricciardi et al. 2011, 2014), che possano co-creare valore, a partire dalla co-progettazione strategica e condividendo risorse umane, materiali e procedure. Ci si chiede se e come tale co-progettazione e condivisione possa essere risolutiva in alcune problematiche, legate in particolare alla prevenzione dei rifiuti organici e all’esclusione sociale. Esploriamo il caso di un progetto di food sharing, coordinato nel Nord Est dell’Italia da un’organizzazione a movente ideale, che coinvolge in sussidiarietà circolare imprese for profit municipalizzate e private, amministrazioni locali e il cosiddetto terzo settore. Il metodo di ricerca scelto è il case-study (Yin 2013). R.e.b.u.s., un acronimo che significa Recupero delle eccedenze dei beni utilizzabili solidalmente, è un modello di condivisione di risorse, replicabile e trasferibile; i beni con intatto valore di utilizzo, ma ridotto o nullo valore commerciale, sono destinati ad associazioni non profit, mediante il meccanismo della donazione nel rispetto della normativa vigente. Posto che alcuni sprechi si ritengono fisiologici (ad esempio nelle mense scolastiche per malattia, epidemie, difficoltà di gestione nelle calamità naturali; presso i grossisti per imprevedibili flessioni della domanda ecc.), è necessario riuscire almeno a ridurne l’impatto, mantenendo i prodotti nel loro stato di bene ed evitando che diventino rifiuti, prevenendone la formazione a monte della raccolta (Bonomi 2012, Bonomi et al. 2014). Attraverso la rete di relazioni inter-organizzative, attivata tra pubblico, privato e non-profit, è possibile sviluppare nuove pratiche di economia condivisa e innovativa che favoriscano un maggior senso di comunità mediante la compartecipazione di tutti i soggetti di un territorio e una crescita sostenibile che miri ad un benessere diffuso.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.